Pierfrancesco Giannangeli / Il Messaggero Marche

Un cinema che parte dalla realtà, raccontata attraverso le parole, i gesti, gli sguardi dei protagonisti. Meglio se giovani, perché rappresentano gli interpreti più autentici del loro tempo, sapendone cogliere con immediatezza sfumature e cambiamenti. E' una parte importante del cinema di Daniele Segre, uno degli artisti italiani più impegnati sul confine tra cultura e società. Il regista sta lavorando in questi mesi nel Maceratese, con alcuni giovani aspiranti cineasti (studenti degli ultimi anni delle scuole superiori, iscritti all'università e freschi laureati), su un progetto dell'Irre Marche e dell'Amministrazione provinciale intitolato L'amorosa visione. Cultura e professioni: percorsi giovani di incontro e di abbandono. Il risultato sarà un film che uscirà nei prossimi mesi, dove i giovani raccontano i loro coetanei e il disagio di una generazione.
Il lavoro è giunto alla fase intermedia. E' finito il periodo delle riprese ed è terminata anche l'analisi del materiale girato. Adesso tocca ai passaggi necessari del montaggio, un lavoro che terrà impegnati regista e allievi fino alla metà di marzo. I giovani si sono impegnati a carpire i segreti di una tecnica particolarmente cara a Daniele Segre. «I ragazzi – spiega infatti il regista – hanno approfondito la tecnica dell'intervista narrativa. Un tipo di linguaggio a cui è approdato il mio lavoro di anni». Ma cos'è l'intervista narrativa? «E' l'opportunità di stabilire un rapporto meno superficiale con gli intervistati, a cui si chiede di mettersi in gioco, di togliersi la maschera. Prima di mandare i nostri giovani dietro la macchina presa, gli ho fatto fare l'esperienza di venire intervistati, dunque sono stati costretti a raccontare se stessi mettendosi a nudo, sentendo sulla propria pelle il disagio che si prova in una simile circostanza». Una sensazione particolare, utile a comprendere emozioni e stati d'animo dei loro interlocutori per il film: una settantina di soggetti, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Settanta interviste da cui emergono la paura della solitudine, la voglia di un sano protagonismo, il desiderio di trovare un lavoro, il senso di un rinnovamento della cultura. Dietro la macchina da presa ci sono invece quattro gruppi di lavoro, formati a loro volta da quattro studenti per ciascun gruppo. Due troupe – chiamiamole pure così – lavorano a Macerata, mentre le altre sono dislocate a Recanati e a Civitanova.
«Dopo il montaggio – spiega ancora Segre – e la verifica democratica interna al gruppo, perché qui non arriva il regista di grido che dice “si fa così e basta”, nei prossimi mesi ci sarà la presentazione pubblica del lavoro. Secondo noi dovrà essere uno strumento attivo di stimolo, perché il cinema è un alibi per sensibilizzare le coscienze, per far maturare consapevolezze civili e democratiche».